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Criptovalute: il valore reale dell’immateriale

È facile disinteressarsi alle diavolerie del mondo economico e finanziario che muovono il mercato verso sempre nuovi, e illusori, orizzonti. Diavolerie sospettosamente complicate dalle quali siamo abituati ad aspettarci effetti più che altro negativi. Questo per alcuni, generalmente i più giovani, è un assunto: nati con i racconti del miracolo economico ma cresciuti nella realtà del debito pubblico e dell’economia plutocratica. Non giunge dunque con sorpresa che una di queste nuove trovate, la criptovaluta, sollevi molte sopracciglia e sconforti coloro che vedono sempre gli stessi avidi ed egoisti broker, truffare investitori barbini accecati dal vile danaro. Queste persone non hanno per nulla torto, coloro che parlano di facili rendimenti, segreti di trading o opportunità di vita, hanno solo da guadagnare nel convincere le persone, perché sulle persone guadagnano. Questa realtà non deve però accecare chi vuole capire cosa ci sia veramente sotto tutto questo vociferare, oltre le vaghe promesse di investitori truffaldini.

Per chiarire permettetemi di riesumare l’inflazionato parallelismo tra le criptovalute e la bolla delle dot-com. Il parallelismo, come più volte ci è stato fatto notare, è evidente nella magnitudine con cui la capitalizzazione totale è aumentata nei rispettivi mercati, e nella velocità con cui essa è aumentata, due dei segnali canonici di una bolla.

Ma che la criptovaluta sia una bolla lo sospettavamo già. Il parallelismo che spesso sfugge, e forse l’unico elemento positivo delle bolle, è relativo al valore reale a esse sottostante. Il terzo elemento che caratterizza una bolla, infatti, è la mancata corrispondenza tra valore reale e valore di mercato, derivante dall’eccessiva fiducia verso un determinato settore. Un valore reale però esiste, esso è in prima battuta rappresentato dei beni fisici, ma sempre di più anche da idee, processi e algoritmi, cioè beni immateriali. Questi beni hanno un valore concreto (nel senso lato del termine), dato idealmente dalla loro utilità all’interno della società. Il valore di mercato dovrebbe riflettere questo loro valore, cosa che, come sappiamo, non succede in una bolla. L’incongruenza tra i due valori è destinata a sanarsi, nel caso di una bolla, in modo catastrofico. Ma ecco che, dopo lo scoppio, quando la polvere si è finalmente posata, il valore che rimane è reale. Questo valore reale nel caso delle dot-com oggi si chiama Google, Amazon, Paypal e Ebay, servizi online che impiegano centinaia di migliaia di persone e ne servono milioni.

In cosa consiste dunque il valore reale delle criptovalute, caratterizzate per natura dall’assenza di beni materiali?

L’ipotesi più ovvia è anche la più assurda: un futuro in cui le criptovalute sono considerate alla pari di ogni altra valuta, e il loro utilizzo è diffuso. Questo è un sogno, o un incubo (dipende a chi chiedete), troppo visionario per poter essere considerato unica fonte di valore, è necessario guardare più in profondità. Il merito delle criptovalute, infatti, potrebbe risiedere nella struttura che le sorregge, la c.d. blockchain. Spiegarne l’esatto funzionamento matematico e informatico va oltre il mio fine e la mia conoscenza, perdonate quindi le grossolane semplificazioni:

La tecnologia della blockchain è stata introdotta per la prima volta con il Bitcoin nel 2008 ed è lentamente entrata nel dominio pubblico fino al 2017, anno in cui il valore di quest’ultimo è lievitato smisuratamente. Nel corso degli anni sono state create una grande quantità di altre criptovalute, tutte accomunate dalla medesima tecnologia blockchain. Ciò che questa tecnologia permette, in breve, è di mantenere un libro contabile globale, decentralizzato, e protetto crittograficamente da operazioni illecite. Si badi che la criptovaluta associata è utile solamente a movimentare questo libro contabile: è uno strumento della blockchain, non il suo fine.

Per comprenderne l’utilità, prendiamo come esempio altre due criptovalue di grande successo, Ethereum e Ripple.

Ethereum affina la creazione di script all’interno della sua blockchain, dando la possibilità ad ogni utente di creare quelli che i creatori di Ethereum chiamano smart contracts, che posso essere descritti come piccoli programmi che movimentano il libro contabile globale. Questi “contratti intelligenti” non sono altro che titoli di credito autonomi e automatizzati, non necessitano di nessuno che ne obblighi l’estinzione perché la eseguono automaticamente. Ripple pone invece la sua attenzione ai rapporti interbancari e interaziendali, sfrutta la natura sovranazionale della blockchain per ridurre i costi e aumentare la velocità dei pagamenti internazionali, mantenendo alta tracciabilità e sicurezza.

Un valore reale sottostante sembra quindi esistere, o almeno esistono persone che lo cercano attivamente. Ma questo non significa che il treno delle criptovalute sia già sulla buona strada, tutto il contrario: probabilmente si schianterà. Ma invece di ignorarlo, o di fermarlo completamente, soffermiamoci a capirlo, e se mai non riusciremo a correggere la sua corsa, almeno sapremo ricostruirlo nel modo giusto.

Lorenzo E. Malossi