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La Stazione Centrale: un luogo di vergogna per la città di Milano

 

Se si levano gl’occhi verso le volte, mentre si attende che il tabellone delle partenze segnali il nostro binario o mentre si saluta un caro, prima che ci s’avvii al proprio treno, si rimane sorpresi. Sui lati delle pareti si possono ammirare delle formelle smaltate che raffigurano alcune delle più belle città italiane, come Firenze e Torino, come se rappresentassero una sorta di monito al viaggiatore dei primi anni del ventesimo secolo, che dicesse al cuor: “sospira”. E poi si può rimanere estasiati dai numerosi fregi, che immancabilmente richiamano la gloriosa scuola scultorea italiana, rinomata e riconosciuta in tutto il mondo, seppur in chiave novecentesca e razionalista.

E ancora, si rimane senza parole nel camminare sugli splendidi mosaici, che inneggiano al latino ed alla simbologia mitologica romana, sì che par di udire il soffio di quegli strumenti antichi che celebravano le vittorie, per poi lasciar cadere l’occhio sulle targhe che parlano d’un impero che oggi non v’è più. E che dire, poi, delle imponenti gradinate che da quello che una volta era l’atrio per le carrozze s’ergono insino ai binari? E quei meravigliosi caratteri scolpiti che indicano la biglietteria, dei quali oggi, nelle stazioni moderne, si farebbe a meno per lasciar posto ad uno squallido cartello blu di Trenitalia? Avviandosi poi verso il proprio treno, non si rimane di certo con lo sguardo rivolto a terra quando si è avvolti dall’ampia struttura voltata in acciaio, vero e proprio gioiello dell’ingegneria italiana, sia per la tecnica con cui fu realizzata, sia per le sue dimensioni imponenti

Le strutture, gli spazi ed i fregi di gusto razionalista paiono essere il dispiegamento della complicazione e la sua riconduzione a semplici chiarimenti di grande effetto.

Tutto parla alla Stazione Centrale, ma parla in un sussurro, sì che il suono di queste parole è quasi inudibile, poiché si diffida oggigiorno ad elogiare un’opera voluta e costruita negl’anni più tragici della nostra storia italiana, per i quali non si fa fatica a provare un po’ di vergogna. Sono ancora presenti dei simboli che inneggiano al fascismo, come le aquile e i fasci littori e per questo motivo Milano si trova disposta a rinnegare la monumentalità di tale opera, fino al punto di sfregiarla con insulsi manifesti di pubblicità, che altro non fanno che deturpare quello che, nel bene e nel male, può essere considerato uno dei monumenti alla Civiltà italiana.

Camminare tra gl’ampi corridoi della Stazione Centrale, significa per davvero compiere un viaggio attraverso un libro aperto che narra tutta la storia e la grandezza del Popolo italiano, dagl’antichi periodi di splendore, all’ingegno che ci ha sempre contraddistinto, passando poi per l’eleganza e il gusto, fino ad arrivare alle lapidi che commemorano le deportazioni, quasi come se la storia italiana non si fermasse col fascismo, ma continuasse con l’espiazione dei crimini di cui lo Stato italiano si è macchiato. Niente apologie di nessun genere, ma solo la consapevolezza e l’apprezzamento di un’opera del genere, poiché condannare, per altro giustamente, i crimini di guerra commessi dal nazifascismo non significa lasciare in uno stato di degrado e noncuranza quello che è da ritenersi un gioiello dell’artigianato e della tecnica italiana, dove davvero ogni singolo blocco di marmo ha un’allegorica funzione, all’interno di quello che si può ritenere a pieno titolo un monumento di pietre vive.

Francesco Moiana